Il grande Gatsby prende una pila di camicie e comincia a sciorinarle: "Camicie di lino semplice, di seta spessa, di flanella leggera, che perdevano le pieghe cadendo... camicie a righe, a disegni e a scacchi color corallo e verde mela e lavanda e arancione chiaro, con i monogrammi indigo".
Davanti a quella cascata di stoffe, Daisy, la donna amata dall'eroe di Fitzgerald, scoppia in singhiozzi: "Che belle camicie... Mi fa piangere perché non ho mai visto camicie così... così belle". Fitzgerald la sapeva lunga sulle camicie, specie su quelle di seta. D'altronde, anche secondo Matilde Serao il gentiluomo in viaggio doveva avere in valigia: camicie bianche, di colore, bianche non inamidate, di colore non inamidate, di seta, da notte. Invece i futuristi tentavano di strappare la camicia alla schiavitù del bianco per inondarla di colori. Majakovskji ne inalberava di un provocatorio giallo canarino. Modigliani ne aveva una blu che si lavava personalmente ogni giorno. Picasso faceva spuntare dalla tuta blu da operaio camicie di cotonina rossa a pois bianchi.
Nella vita e nei film, prima che Armani ne rivestisse attori e modelli, i gangster italoamericani portavano camicie scure con elaborati gemelli. Il padre di Lolita, l'elegantissimo Nabokov, aveva camicie rosa salone. Hemingway adottava pesanti camicie in tessuto jeans, sportivamente sbottonate.
Nell'epoca di Kennedy i colletti si erano ristretti e ammorbiditi, per poi arrotondare le punte con i Beatles. Intanto la vita della camicia proseguiva turbinosamente: i playboy la portavano semiaperta sui petti muscolosi e i beat le toglievano il colletto. Agnelli sbottonava prima i colletti e poi i polsini. Oggi Woody Allen continua a indossare camicie a scacchi falsamente casual. Uno degli ultimi dandy, Angelo Bucarelli, ha adottato camicie a righe orizzontali ben prima che divantessero merce comune. Perché, come diceva Goethe, "in ogni camicia c'è un uomo".